Incontro dibattito : “CRIMINALITA’ MINORILE A CATANIA -UNA REALTA’ IRREDIMIBILE?”

Povertà educativa e dispersione scolastica – ”Liberi di scegliere” segna il cambiamento

Da LA SICILIA del 24 Aprile 2022 – articolo di Giuseppe Di Fazio

Sì, è vero: la nostra Sicilia ha il triste primato italiano della dispersione scolastica (19,4%). E anche quello dei giovani che non studiano, non lavorano e non sono in formazione (38,6%, contro una media Ue del 13,7%). Dati che fanno paura e che spiegano anche il numero impressionante di reati commessi da minori nell’Isola. Le organizzazioni malavitose e mafiose, infatti, nei luoghi dove emergono evidenti carenze di proposte educative e diffusa evasione scolastica trovano un terreno fertile per reclutare minori per i loro loschi traffici.


Ma è anche vero che nell’ultimo anno la Sicilia ha cominciato a registrare per la prima volta segni concreti di contrasto alla povertà educativa, tanto che a livello nazionale si parla già di un “modello Catania” di lotta alla dispersione scolastica. Un modello che sviluppa il progetto “Liberi di scegliere”, nato originariamente a Reggio Calabria, che il suo ideatore, il magistrato Roberto Di Bella – oggi presidente del Tribunale per i minorenni di Catania – ha rielaborato alla luce della situazione etnea e siciliana. Ma procediamo con ordine. Partiamo dai dati sconfortanti della povertà educativa nell’Isola. Di recente anche la Commissione Antimafia dell’Ars, presieduta da Claudio Fava, ha prodotto un corposo rapporto sulla condizione minorile nell’Isola, da cui emerge il legame stretto tra dispersione scolastica e reclutamento dei minori per lo spaccio della droga o per il supporto ad altre attività criminali.


I ritardi e le connivenze a proposito della lotta alla povertà educativa sono gravissimi. E sono documentabili con scelte politiche incapaci di cogliere la gravità del problema. Basti pensare alla cronica carenza di assistenti sociali da impiegare nei quartieri di frontiera; o alla mancanza di una anagrafe scolastica regionale; o all’assenza di luoghi aggregativi – oratori, centri polifunzionali, centri sportivi – in intere aree popolari delle nostre città. O, ancora, alla mancanza del tempo pieno nel 90% degli istituti siciliani, con la conseguenza che nei quartieri e nei Comuni in cui ci sarebbe più bisogno di avere momenti prolungati di istruzione ed educazione si registra invece un deficit calcolato annualmente in 250 ore di tempo scuola offerto in meno ai bambini siciliani rispetto ai loro coetanei di altre regioni.


Cosa aspettarci dunque da una situazione in cui molte famiglie non hanno a cuore l’educazione dei figli, le scuole vivono in perenne precarietà, le strutture educative e i servizi sociali sono quasi inesistenti? Finora Regione e Comuni hanno fatto finta di non vedere il problema o addirittura di negarlo, lasciando al volontariato l’onere di tamponare il problema. Ricordiamo solo il caso denunciato alcuni anni fa da questo giornale dei 10mila ragazzi della Formazione professionale che da oltre 9 mesi non andavano a scuola perché i corsi regionali non cominciavano. Oggi, come detto, qualcosa sta cambiando e ciò grazie, soprattutto, alla energica e paziente attività del Tribunale per i minorenni e di alcune Prefetture. A Catania, per esempio, è stato sottoscritto un Patto educativo, coordinato dalla Prefettura, e che vede riuniti magistrati minorili, forze dell’ordine, Comune metropolitano, Ufficio scolastico, Chiesa locale, Inps, enti del Terzo settore e del volontariato. Si tratta di una rete di operatori che consente di abbordare il problema della dispersione scolastica o della criminalità minorile non solo dal punto di vista penale, ma anche da quello educativo e della prevenzione.


Il Patto, aggiornato a febbraio di quest’anno a Catania, agisce su vari livelli. Richiama i dirigenti scolastici a segnalare i casi di assenze prolungate di minori. Interviene sulle famiglie per far comprendere loro il dovere di vigilare sulla frequenza scolastica dei figli; e se questo dovere fosse eluso, il Patto prevede che i genitori perdano il diritto al reddito di cittadinanza qualora ne beneficino già. Inoltre il Comune metropolitano dichiara (e speriamo che tenga fede agli impegni presi) di voler rafforzare la squadra dei servizi sociali per supportare i minori a rischio. Infine, gli enti pubblici assicurano e chiedono collaborazione al variegato mondo del volontariato che opera nei quartieri a rischio.


Si tratta, come ben si vede, di un progetto che smonta l’idea della irredimibilità della criminalità minorile e punta a considerare i minori a rischio non tanto un problema sociale (come per troppo tempo è stato fatto), ma una risorsa da salvaguardare e da coltivare. E, d’altro canto, questo risulta il modo più efficace ed intelligente di combattere la mafia, perché prosciuga il bacino da cui essa trae i suoi ricambi e la sua manovalanza.